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Femminismo e pace
Il lavoro di cura svolto dalle donne è essenziale per la sicurezza. Parallelamente, sono proprio loro a subire maggiormente le conseguenze di guerre e conflitti. Solo con una politica di sicurezza femminista possiamo raggiungere una pace autentica, che non sia solo l’assenza della guerra e della violenza.
Da alcuni anni la ricerca sulla pace ha evidenziato che i Paesi maggiormente inclusivi a livello di genere sono anche più pacifici. Eppure si continua a ritenere l’integrazione della questione di genere un aspetto di second’ordine nell’ambito della pace e della sicurezza. Questo, nonostante il fatto che nel 2000 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite abbia posto le basi per una politica di sicurezza femminista con l’adozione della Risoluzione 1325 : Donne, pace e sicurezza. Questo documento evidenzia l’importanza del ruolo delle donne nei processi di pace e nella politica di sicurezza. Inoltre è stata riconosciuta l’importanza dell’equilibrio di genere nei processi politici e negli organi decisionali. Ciò nonostante, secondo il SHEcurity Index, – che dal 2000 misura la rappresentanza femminile nella politica di sicurezza e in quella estera – in questi ambiti le donne sono ancora sottorappresentate.
Nella stessa risoluzione si esprime preoccupazione per il fatto che le donne siano più frequentemente limitate nei diritti umani e che ancora non si è riusciti a proteggere e promuovere pienamente questi diritti e queste libertà. A 23 anni dall’adozione della risoluzione, la violenza contro le donne permane. Si tratta di un diffuso e grave problema sociale riconducibile a strutture di potere patriarcali. Emerge qui un saldo legame tra militarismo e patriarcato, che si rafforzano vicendevolmente. In effetti, il militarismo appare strettamente legato agli ideali classici di virilità e femminilità, in cui l’identità maschile è messa strettamente in relazione con il militare. Caratteristiche come uso della violenza, aggressività, resistenza o dominio sono tipicamente associati alla mascolinità. Alla femminilità vengono invece assegnati attributi come debolezza e necessità di protezione. Nelle società militarizzate l’aggressione e la violenza sono quindi considerate vie legittime per la soluzione dei conflitti. Vie, queste, che infliggono altro dolore soprattutto alle donne.
In una prospettiva femminista della sicurezza, va poi considerato centrale il fatto che le donne forniscono già oggi un contributo essenziale alla sicurezza. Purtroppo, questo contributo è tuttora sottovalutato e negletto, benché proprio la recente pandemia Covid abbia dimostrato dolorosamente quanto la sicurezza sia ben altra cosa del militarismo. Oltre alla protezione in caso di catastrofi e a misure efficaci contro la crisi climatica è fondamentale per la sicurezza delle persone un sistema sanitario e sociale ben funzionante. Proprio in questi settori il contributo delle donne, tramite il lavoro retribuito e non retribuito di cura, di assistenza e domestico a favore di persone minorenni ed adulte è determinante. In Svizzera il valore del lavoro di cura annuale non retribuito ammonta a 242 Mrd. di franchi. I miliardi destinati a livello globale alla militarizzazione vanno sovente a scapito di questi settori, Mentre in Svizzera il budget per l’esercito è stato raddoppiato e il DDPS cerca incessantemente di introdurre una giornata obbligatoria d’informazione per le donne, si risparmia proprio in settori come l’AVS o il finanziamento dei nidi d’infanzia. Anche il BICC il Global Militarizarion Index del Bonn International Center for Conversion
mette in evidenza che spesso le uscite di Stati militarizzati per il settore militare comportano meno uscite per prestazioni sociali, formazione e salute.
Per questi motivi il GSse è convinto: la migliore via per assicurare una pace duratura richiede un approccio femminista, che ponga al centro delle decisioni politiche i diritti di gruppi marginalizzati. Una politica di sicurezza ed estera deve quindi puntare a una concezione inclusiva della sicurezza e della pace, integrando prospettive femministe, postcoloniali e antirazziste nel discorso su guerra e pace. Deve porre la sicurezza delle persone al di sopra della sicurezza degli Stati e mirare alla creazione di un mondo in cui tutte le persone possano vivere una vita degna. Solo se nessuna persona è oppressa è possibile creare una pace effettiva, oltre alla mera assenza di conflitti e violenza.
Il GSse s’impegna per:
- Una politica estera e di sicurezza femminista che tenga conto delle condizioni di vita delle persone FINTAQ (donne, persone intersex, non-binarie, trans, agender e queer) e includa la loro prospettiva nei processi di pace.
- L’omissione di qualsiasi tentativo d’integrare le donne nell’istituzione patriarcale dell’esercito.
- La prevenzione e una protezione efficace contro qualsiasi forma di violenza di genere.
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